La pandemia e le relative chiusure hanno portato a una crisi
economica di portata mondiale, e molti settori hanno pagato un conto più salato
di altri. Tra questi, certamente il comparto automotive ha subìto gli impatti
dell’emergenza sanitaria, ma ad aggravare la situazione è sopraggiunta
un’ulteriore problematica: la crisi dei semiconduttori.
A fare da detonatore di quello che gli anglosassoni chiamano
chip
crunch, è lo scoppio della pandemia da Coronavirus. Le chiusure totali delle fabbriche della
scorsa primavera, a causa del lockdown, hanno rallentato, se non addirittura
fermato, l’intera catena produttiva, ma anche il reperimento necessario delle
materie prime. In parallelo, nel 2020 le persone sono state costrette a
rimanere chiuse in casa per contenere i rischi di contagio e come conseguenza hanno
avviato l’acquisto in massa di
dispositivi elettronici, sia quelli necessari per lo smart working e la
didattica a distanza, sia quelli legati all’intrattenimento.
Elementi imprescindibili per il funzionamento di dispositivi
elettronici sono appunto i chip, o
semiconduttori, e per far fronte all’impennata di richieste, si è assistito a
un ridimensionamento dell’offerta, dovuto da una parte all’inevitabile chiusura
delle fabbriche, dall’altra dalla scelta di sfruttare le poche risorse
disponibili quasi esclusivamente per la produzione di apparecchiature
elettroniche.
Cos'è un microchip?
Il microchip è un “circuito integrato”, ovvero un circuito elettronico miniaturizzato dove i vari transistor sono stati formati tutti nello stesso istante grazie a un unico processo fisico-chimico. Un chip è dunque il componente elettronico composto da una minuscola piastrina del wafer di silicio (die), a partire dalla quale viene costruito il circuito integrato e rappresenta il supporto che contiene gli elementi (attivi o passivi) costituenti il circuito stesso. Il circuito integrato è adibito, sotto forma di rete logica digitale o analogica, a funzionalità di processamento o elaborazione di ingressi espressi sotto forma di segnali elettrici, al fine di ottenere dati in uscita.
I problemi per il settore automotive
La scarsità di semiconduttori è un problema sempre più
urgente da risolvere per la produzione di beni a livello mondiale, e
soprattutto il settore automobilistico è stato colpito duramente dalla crisi e
ne sta ancora pagando le conseguenze. Secondo un’analisi di Deloitte solo nella produzione di auto
l’elettronica rappresenta oggi il 40% del valore di un veicolo e il trend
continuerà a crescere anche nei prossimi anni. Le case automobilistiche non
posseggono un grande inventario e ordinano i microchip a seconda della
produzione. Dunque, lo scorso anno, si è effettuato un numero nettamente
inferiore di ordini, a causa delle chiusure nei mesi di isolamento e le
previsioni di un ridotto volume di vendite non sono state smentite.
Nel frattempo, i produttori di device digitali aumentavano
sensibilmente i loro ordini e, nel momento in cui si è ripresa anche la
produzione di veicoli, le case automobilistiche si sono trovate con un’ingente
scarsità di microchip sul mercato. Alcune tra queste case hanno dovuto
rallentare la produzione, altre sono state costrette addirittura a chiudere le
proprie fabbriche per alcuni periodi.
La reazione delle Case
Già diversi costruttori automobilistici sono stati obbligati
a prendere decisioni drastiche per affrontare il problema della mancanza di
chip e la cui risoluzione non sembra possa arrivare nel breve termine.
Stellantis, ad
aprile aveva annunciato di rinunciare alla strumentazione digitale i-Cockpit
sulla Peugeot 308, a favore del
quadro strumento analogico, offrendo ai clienti un prezzo più basso rispetto a
quello di listino.
Uno degli esempi più interessanti è quello di Tesla, che ha deciso di riscrivere il
software delle proprie auto per supportare chip alternativi. Questo approccio
ha aiutato l’azienda di Elon Musk a mantenere alti livelli di produzione,
consegnando oltre 200.000 veicoli ai clienti nel corso degli ultimi mesi. È
necessario ricordare che Tesla, leader mondiale per la produzione di auto
elettriche, si affida ai chip per alimentare qualsiasi parte dei veicoli, dai
suoi airbag ai moduli che controllano le cinture di sicurezza e per l’azienda,
come ha commentato il CEO: “La situazione globale della carenza di chip rimane
piuttosto grave”.
La crisi dei semiconduttori sta colpendo anche Mercedes che ha annunciato di aver dovuto
tagliare momentaneamente la produzione in Germania e in Ungheria per dare
priorità alla costruzione dei veicoli elettrici. Inoltre, la casa tedesca non ha
escluso la possibilità delle chiusura totale delle fabbriche se la situazione
dovesse protrarsi ancora a lungo.
Cosa ci attende all’orizzonte?
I vertici di Intel
Corporation, la multinazionale statunitense produttrice di semiconduttori e
microprocessori, hanno previsto che la carenza dei chip, che oggi affligge sia
il comparto auto che tech, potrebbe trascinarsi fino al 2023. L’amministratore delegato di Intel Pat Gelsinger ha infatti indicato come dovrebbero essere necessari uno o due anni ancora per ritrovare un
equilibrio tra domanda e offerta nelle cruciali componenti, in grado di avere
un impatto sulla disponibilità e i prezzi di numerosi prodotti al consumo.
La crisi dei semiconduttori nel lungo termine, infatti, può
determinare un aumento di prezzi
sempre più importante e tempi di
consegna sempre più lunghi, ritardi che attualmente sono ai massimi
storici. Tale situazione potrebbe indurre a rallentamenti nella produzione e a
mancate vendite di una serie di beni di consumo, tra i quali sicuramente i
veicoli. Se l’impatto fosse abbastanza ampio, si manifesterebbe una crescita degli utili più debole per una
serie di aziende attive soprattutto nei settori tech e automotive.
Ma gli ampi investimenti per risolvere il problema di questa
crisi rendono il settore piuttosto attraente per gli investitori: ad esempio, il
Philadelphia Semiconductor Index
continua a crescere dopo aver guadagnato il 107% nel 2020, grazie alle
performance brillanti delle società che producono semiconduttori.
La mancanza di materie prime e il monopolio cinese
La straordinaria crescita del settore informatico legata al
progresso tecnologico ha, dal 1970, quadruplicato
il consumo globale dei prodotti tecnologici che, di conseguenza, stanno
aumentando la loro complessità sia per funzionalità sia per tecnologia
necessaria a riprodurli. Tale complessità riguarda anche il settore automotive,
sempre più orientato verso l’elettrificazione, e si riversa soprattutto sulle materie prime fondamentali in tali
produzioni che sempre più richiedono un gran numero di metalli difficili da
reperire e considerati per questo “rari”.
Un’auto
elettrica, infatti, per poter funzionare, ha la necessità di
decine di metalli più o meno rari. Le sue batterie richiedono, oltre al litio,
anche grafite e manganese, cobalto, nickel, rame, ferro ed alluminio. La diffusione delle EV (Electriv vehicle) ha notevolmente
accresciuto anche la richiesta di questi minerali che, per condizioni naturali,
economiche e soprattutto geopolitiche, sono difficilmente reperibili. Il
complesso approvvigionamento dei metalli rari non è di semplice soluzione a
causa del dominio incontrastato
della loro produzione ad un solo attore: la Cina.
La Cina è diventata rapidamente leader mondiale nella produzione, estrazione e raffinazione di
REE (Rare Earth Elements),
coprendo, ad oggi, circa il 70%
delle estrazioni mondiali. Quando si parla di semiconduttori, infatti, si parla
soprattutto di due aziende: la Tsmc di
Taiwan e la coreana Samsung.
La criticità dell’offerta di REE sommate alle pesanti misure
protezionistiche adottate da Pechino stanno acerbando l’instabilità
dell’offerta di terre rare, e quindi di semiconduttori, quasi completamente
sotto il monopolio di un unico produttore.
L’odierna crisi dei chip, infatti, è strettamente collegata
agli elementi rari e alle condizioni del mercato globale, che registrano
un’estrema concentrazione della produzione nelle mani del colosso asiatico, sia
dei dispositivi stessi, sia delle materie prime necessarie a produrli. Le
incertezze geopolitiche, sommate all’aumentare della domanda degli electronic
device durante il periodo più buio della pandemia, hanno di fatto reso
l’approvvigionamento di questi materiali una questione strategica e di posizionamento
tra le potenze mondiali.
Per controbilanciare il dominio cinese, infatti, Stati
Uniti, UE e Giappone stanno cercando di unire le proprie forze attraverso l’attuazione
di diverse strategie basate su tre
pilastri: diversificazione delle catene di approvvigionamento globali per
mitigare il rischio di approvvigionamento; sviluppo di materiali e sostituti
tecnologici; promozione del riciclaggio, del riutilizzo e dell’uso più
efficiente dei materiali critici.
È soprattutto grazie all’ultimo pilastro, lo smaltimento
e il riutilizzo dei
materiali, ovvero una delle fasi più importanti del paradigma Circular
Mobility ideato da SIFÀ, che sarà possibile migliorare la
progettazione dei prodotti, sviluppando standard di riciclaggio ad alta
efficienza per evitare, in futuro, di ritrovarsi in situazioni di crisi simili
a quelle che stiamo vivendo in questo momento.
Le soluzioni di SIFÀ a supporto dei Clienti
SIFÀ si è da subito attivata per garantire, per quanto possibile, servizi di mobilità attraverso estensioni di contratti già in essere, dilazioni di pagamento, potenziamento del servizio di auto in preassegnazione, accordi con i noleggiatori a breve termine, in modo da offrire soluzioni ai clienti che abbiano subìto ritardi di consegna. Abbiamo avuto sicuramente prolungamenti di contratto perché il cliente è più propenso ad avere un veicolo nuovo, e dunque, consapevole dei tempi di attesa, preferisce utilizzare per un periodo più lungo il veicolo che possiede al momento dell’ordine. Per quanto riguarda il ricorso al RAC (rent a car), abbiamo un maggiore utilizzo del cosiddetto “flottino”, ovvero della flotta che SIFÀ utilizza per i veicoli in preassegnazione. SIFÀ ha infatti potenziato la ricerca di prodotti sul mercato aumentando il volume dei veicoli in stock che può offrire ai propri clienti, ovvero quei veicoli in preassegnazione già presenti sui nostri piazzali e di cui siamo noi a gestire i tempi di consegna.
In parallelo, l’Azienda ha offerto ai propri clienti una consulenza adeguata per costruire un piano aderente alle loro reali necessità e aspettative, suggerendo, ad esempio, il noleggio di veicoli non impattati da questi ritardi. In alcuni casi, infatti, i costruttori già dallo scorso anno, in previsione di possibili criticità nell’approvvigionamento della materia prima, avevano già pianificato dei lotti in fabbrica per i canali del noleggio a lungo termine e conseguentemente sono stati capaci di garantirci dei tempi di consegna accettabili.
Infine, un altro servizio che è stato ampiamente promosso e potenziato dall’Azienda in questo periodo di emergenza è quello relativo al noleggio dei veicoli usati. SIFÀ, infatti, ha implementato la propria offerta con il rinoleggio del proprio usato in pronta consegna che, già nel corso del 2020, si è dimostrato essere un sostegno concreto per gestire improvvisi picchi di lavoro delle aziende. Grazie a questo servizio, SIFÀ continua a supportare molte imprese che hanno la necessità di potenziare il proprio parco con mezzi subito disponibili per diversi settori di business. L’Azienda ha infatti costruito un’offerta di rinoleggio selezionando, all’interno della propria flotta, i veicoli più giovani o con meno chilometri, sottoposti ad attività di rimessa a nuovo, tagliandati e consegnati al cliente comodamente a domicilio, con un risparmio tangibile sul canone mensile di noleggio decisamente concorrenziale che può arrivare fino a circa il 20% rispetto al nuovo. A questo servizio si è affiancata anche la vendita dei veicoli usati.
