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L’1% dei super ricchi emette quanto due terzi dell’umanità

16 Gennaio 2024

L’1% più ricco della popolazione mondiale, composto da circa 77 milioni di persone, ha rappresentato il 16% di tutte le emissioni di CO2. Tuttavia, come sottolinea l’Onu, a subire le maggiori conseguenze del cambiamento climatico e dei fenomeni atmosferici estremi sono i cittadini dei Paesi più poveri. Questo squilibrio è destinato ad aumentare nei prossimi anni con gravi conseguenze per le comunità vulnerabili e per gli sforzi globali per affrontare la crisi climatica.

A far luce su questa disuguaglianza è il recente rapporto dell’organizzazione internazionale Oxfam, “Climate Equality: a Planet for the 99%”, che si basa sui dati aggiornati al 2019 ed elaborati dallo Stockholm Environment Institute sulla produzione di emissioni globali a seconda della fascia di reddito. Vediamolo insieme.

I risultati

Stando alla Ricerca, un individuo del gruppo ristretto dei più abbienti ha emesso carbonio in media 20 volte di più di una persona del 66% più povero. I 2.225 miliardari del mondo, in particolare, sono responsabili di una quota significativa delle emissioni globali: secondo il Rapporto a loro sono da imputare circa il 10% delle emissioni di CO2 globali. Le proporzioni sono ancora più sbilanciate se si considera che chi fa parte dell’1% più ricco inquina in media in un 1 anno quanto inquinerebbe in quasi 1.500 anni una persona appartenente al restante 99% dell’umanità. Sono diversi i fattori presi in considerazione dallo Studio che contribuiscono alle emissioni: il consumo di combustibili fossili; la produzione di beni e servizi di lusso; e i viaggi aerei. Coloro che vivono nei Paesi ad alto reddito e fanno parte dell’élite più inquinante hanno uno stile di vita il cui impatto ambientale è 77 volte superiore a quello necessario per evitare il famoso +1,5 °C di surriscaldamento globale a cui andremo incontro probabilmente già da quest’anno.

Il divario fra Paesi

Nel Rapporto si sottolinea il divario a livello di emissioni tra Paesi ed emerge che quelli ad alto reddito sono responsabili del 40% delle emissioni globali di CO2 basate sui consumi, mentre il contributo dei Paesi a basso reddito è stato un trascurabile 0,4%. L’Africa, per esempio, che ospita circa una persona su sei della popolazione mondiale, è responsabile solo del 4% delle emissioni. Il paradosso di questo fenomeno è che le persone che vivono in Paesi poveri e in via di sviluppo, anche se sono solo in minima parte responsabili dei danni ambientali, sono le più esposte agli effetti del cambiamento climatico, come eventi meteorologici estremi, l’innalzamento del livello del mare e la perdita di habitat. A pagare le conseguenze di questa situazione sono soprattutto donne, migranti, persone che vivono e lavorano a lungo fuori casa o in zone vulnerabili, ma anche comunità etniche emarginate o in generale coloro che vivono in uno stato di povertà.

Un cambiamento in atto

I concetti di equità e giustizia climatica sono entrati con forza negli ultimi anni nelle conferenze internazionali sul clima, come dimostrato nell’ultima Cop28 che si è tenuta recentemente a Dubai. In quest’occasione è stato approvato il fondo per consentire alle Nazioni più vulnerabili della Terra di fronteggiare le perdite e i danni (loss and damage) patiti a causa degli impatti dei cambiamenti climatici, di fronte ai quali risultano fortemente esposte, benché ne siano responsabili solo in minima parte. Un svolta importante considerando che i cittadini dei Paesi poveri, soprattutto se di categorie considerate svantaggiate, hanno meno probabilità di protezione sociale, “il che li espone di più al rischio, sia dal punto di vista economico che fisico, di inondazioni, siccità, ondate di caldo e incendi boschivi”, dice il rapporto, ricordando che l’Onu sostiene come i Paesi in via di sviluppo rappresentino il 91% dei decessi legati a condizioni meteorologiche estreme.

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Team Circular Mobility

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